Le attese. Quelle
dolci però, non quelle interminabili delle file agli sportelli di un qualche
ufficio per chiedere informazioni che nemmeno sanno darti oppure quelle dal
dentista che oltre ad essere estenuanti sono soprattutto ansiogene. Quelle attese
che ti scaldano il cuore, quelle a cui pensi quando magari sta andando tutto
male oppure semplicemente non vanno come te le eri immaginate. Tutto si ferma,
fai un grande respiro, e spunta un sorriso all’angolo della bocca che rasserena
l’animo. Ma io non sono capace di spiegarvelo come Leopardi, lui, che
nonostante una vita piena di tristezza e di pessimismo cosmico è riuscito a
racchiudere in una poesia il senso più magico di quel sabato e che, vuoi o non
vuoi, è rimasto indelebile nelle nostre menti sin dalle elementari, sin dalla
prima volta che siamo stati costretti a impararla a memoria un po’ reticenti o
comunque dediti ad altro. La mia dose di dolcezza l’ho sperimentata diverse
volte, soprattutto quando ero bambina e non so per quale strano motivo adoravo
andare al supermercato con i miei genitori, bastava che mia madre mi
promettesse che mi ci avrebbe portata il giorno dopo a calmarmi da qualunque
pena potesse affliggere una bambina di cinque anni. Quindi, nonostante ora quei
cinque siano stati superati di gran lunga ancora mi consolo con l’idea del
giorno che aspetto. La mia bella dose di felicità, la medesima della
preparazione alla domenica Leopardiana l’ho sperimentata nell’ultimo mese. Sin dal
giorno in cui è stata confermata la data del concerto di Caparezza. Da allora
ero come in preda a un’euforia latente che si manifestava per ogni sciocchezza
mi capitasse. Immaginatevi la desolazione quando scopro che i corsi all’università
sarebbero iniziati il giorno dell’evento! Erano i miei primi giorni, non potevo
perderli… eppure, la mia attesa doveva essere ripagata in qualche modo. Decisi che
per il bene dei miei ricordi di ultimi spazzi di adolescenza sarei andata al
concerto. L’attesa nell’ultima settimana era così presente che se ci fosse
stato un coltello avrei potuto tagliarne un po’ per tutti e offrirvela,
talmente era deliziosa. Ed ecco arrivato il giorno. Non vi dico cosa ho provato
quando, ancora mezza addormentata, sentivo il diluvio che c’era fuori. Ma non
potevo perdermi d’animo per questo. Prima o poi smetterà, mi sono detta (forse
dovrei anche aggiungere che ho pregato, come mai nella mia futile vita per la
serie di cose futili che la compongono e ho invocato anche gli spiriti del sole
se può interessare). La pioggia ad un tratto si stanca e scompare per mia
grande gioia. Bene. Ormai è ora, chiavi alla mano e fratello lato passeggero
imbocchiamo la strada della felicità. Una volta arrivati cerchiamo di
guadagnare le prime file già accuratamente occupate da ore; senza farci
scoraggiare da questo iniziamo ad aspettare, ora l’attesa la tocchiamo con
mano, ci sfiora, ci penetra quasi, è tutt’intorno. Ed ecco che le luci si
sfumano, parte la base e non ho neppure il tempo di alzare la testa al cielo
che cominciano a cadere su di noi goccioloni grossi come palline da tennis così
nel giro di quindici secondi siamo zuppi da capo a piedi senza possibilità di
movimenti di nessun genere, tra la folla partecipe della nostra malcapitata
sorte. Una mia amica apre un ombrello e non so come ci si infilano sotto circa
dieci persone. La situazione è ormai insostenibile. L’acqua è gelida e ci si
spintona senza sosta. Ma non mollo, il concerto si farà, ne sono sicura! Cerchiamo
in qualche modo di creare un po’ di spazio intorno a noi ma è praticamente
impossibile. Per quanto fosse catastrofico il tutto non riuscivamo a smettere
di ridere, in modo convulso, direi. I minuti passano e la pioggia rimane
incessante. Il concerto viene annullato. Credo, anzi sono sicura che per
qualche minuto il significato della parola annullato non mi è stato chiaro poiché
nella follia generale continuavo a chiedere a tutti se fosse vero. Ecco l’epilogo
di un sogno infranto. Ma c’è sempre una morale. Eccola: quello che ci regala il
sabato, le sensazioni, le emozioni, il moto d’animo, la gioia e soprattutto
quel costante immaginarsi le cose decisamente più belle di quelle che saranno è
impagabile. Però poi, avrei preferito vedere anche il concerto.
Raffaella
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