Preferisco usare un incipit diverso, senza utilizzare frasi retoriche
che vorrebbero far intendere una sorta di nostalgia dei vecchi tempi, anche se
poi così vecchi non sono, oppure scadere nel banale con un “tutti siamo stati
bambini”, per
introdurre l’argomento e farvi capire di cosa parleremo in questa giornata di “dettagli”: Vi parlo del mio giocattolo preferito.
Lei aveva dei boccoli neri lucenti ma un po’ troppo corti per essere una
bambina e un paio di occhioni marrone cioccolata così grandi che quelli dei manga
sarebbero stati due tic-tac a confronto. Indossava un vestitino rosso di
velluto, col colletto bianco di uno splendido pizzo lavorato, idem l’orlo della
gonna. Il mio giocattolo era una bambola, ma non era una delle tante, non era
una barbie o simili. Se ne stava seduta, incollata a quello sgabellino di legno
scuro e agitando le braccia armate di bacchette, a suon di cordicella,
rigorosamente nascosta dalle balze dell’abito, su uno xilofono che aveva tutti
i colori del mondo. In una parola, la definirei meravigliosa. Per mia fortuna
non si è mai ammalata, non ha mai avuto alcun tipo di problema di salute e
se ne sta ancora qui, sulla mia scrivania. Non so cosa avrei fatto se le fosse
successo qualcosa, tuttavia qualche tempo fa, su una rivista pescata nel mucchio
di quelle immancabili delle sale d’attesa del dentista, che però risalgono alla
data dell’inaugurazione se tutto è nella norma, trovai un articolo veramente
interessante che parlava di un ospedale, non uno comune, bensì di un ospedale
delle bambole. Una bottega gestita dal primario Tiziana Grassi e dai suoi
collaboratori, nelle cui mani vengono a trovarsi casi di tutti i generi. il più
delle volte gli interventi interessano in campo ortopedico e oculistico, così è
molto facile trovare tra gli scaffali del negozio braccia gambe di ogni genere
e soprattutto cassetti colmi di piccolo occhietti pronti a sostituire quelli
malandati delle pazienti. Tanto è vero che, il nome nasce proprio dal commento
di un passante, che impressionato dalla quantità di arti abbia esclamato: << mi sembra di essere in un ospedale!>>. Le bambole che
entrano qui, escono sempre sane e belle come appena scartate dal pacco ma c’è
una malattia che risulta incurabile: il morbo della bambola triste. Racconta,
infatti, Tiziana, che la plastica di alcuni giocattoli realizzati negli anni
cinquanta, oggi risulta irrimediabilmente deformata, e caso ha voluto, che il
viso prendesse la piega di un volto triste e cupo. La tradizione però la fa da
padrone, in quest’angolo da favola, fu proprio il bisnonno di
Tiziana e scenografo del San Carlo, ad avere l'intuizione di una struttura dove
i giocattoli potessero tornare a nuova vita… ed è molto facile trovarvi, anche,
volti noti come: Renzo Arbore o lo scrittore Luciano De Crescenzo.
Quindi, potete dormire sogni tranquilli: le vostre bambole avranno vita eterna. Quand’anche dovesse accadergli qualcosa ci penseranno i dottori dell’ospedale
a ridargli il tempo e il sorriso, almeno ché non siano stati realizzati negli
anni ’50.
Raffaella
Nessun commento:
Posta un commento