
Richard Bach. Un ponte sull’eternità. Dopo qualche secondo di mente locale metto a fuoco l’autore. Mi ricordo di aver già letto del Gabbiano Jonathan con piacere qualche anno fa, anzi, più di qualche. Fuori sta albeggiando. Lo sfoglio, senza fretta, quasi a rallentatore senza leggere nemmeno una parola, solo per il gusto di farlo. La mente si allontana da me incantata dall’inchiostro, dalla carta dalla luce che inizia a invadere l’interno. Lo richiudo. Lo riapro. Lo richiudo. Lo riapro. Una frase letta di sfuggita mi colpisce. “Tutto quello che ci incanta, ci guida e protegge altresì”. Mi viene da sorridere. Penso a Fabrizio De André. Continuo: “Appassionatamente ossessionati da quel che amiamo la magia spiana la strada innanzi a noi, abbatte le norme, non sente ragioni e dissensi, ci porta con sé oltre abissi, paure, dubbi. Senza il potere di questo amore, noi siamo barche alla bonaccia della noia, in mari che son mari di morte”. Che meraviglia. Non posso aggiungere altro. Il sole ormai è sorto.
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